Scrivo alla vigilia di Genesis 2009 - o meglio, alla mia vigilia, visto che non ho ancora fatto in tempo a guardarlo, né conosco alcuno dei risultati - ma l'ultimo Impact! mi è sufficiente per fare delle riflessioni su una questione alla quale anche i più grandi editorialisti di wrestling - come Dave Meltzer e Bill Apter - non hanno saputo dare una risposta... anzi, non si sono saputi dare una risposta: perché ci piace il wrestling? Perché questo business tra il circo e l'avanspettacolo, tra il freakshow e lo sport da combattimento, ci appassiona così tanto? Perché, quando piace, piace a grandi e piccoli, indipendentemente dal ceto sociale, dalla cultura, dalla zona geografica?
Io una risposta ce l'avrei, e non sembri esagerata. Il wrestling non fa leva sugli istinti più bassi, come i suoi detrattori tendono a sostenere: non stimola il lato animale che è in noi - non è il sangue, o le botte, o gli ammiccamenti sessuali che ci attraggono, nel wrestling. Il wrestling può piacere solo in parte per il suo contenuto atletico, o marziale - in generale sportivo, che è la cornice, non la sostanza dello spettacolo: sicuramente il gesto tecnico affascina, rende plausibile la finzione, colpisce quanto un ben riuscito intervento al microfono, ma non è nemmeno quello il nocciolo della questione.
Il nocciolo sta nella storia che viene raccontata: una storia fatta di persone che lottano, si sacrificano, soffrono, vengono ingiustamente penalizzate e poi si riscattano. La storia è sempre la stessa, con infinite variazioni sul tema: i buoni le prendono, ma alla fine riescono a farcela; i cattivi fanno quello che gli pare, ma alla fine si redimono. Tutto sembra già scritto, ma all'ultimo istante un colpo di reni ci mostra che nulla è perduto. Il wrestling è predeterminato, certo - finto, direbbero molti: ma è vero in un senso più profondo, perché parla di noi, e niente è più facile che identificarsi in un personaggio come quelli che calcano i nostri amati ring, soprattutto se esagonali.
Prendiamo Main Event Mafia vs. TNA Frontline - feud dell'anno, poche storie: è sempre la solita storia, un gruppo di prepotenti che spadroneggia, stavolta in forza dei loro allori passati e presenti, e un gruppo di umili - non necessariamente giovani, non necessariamente impeccabili - che ne subisce le angherie. Ma come viene raccontata? Ad esempio con un BG James tirato fuori dal cilindro, che sostiene un match impossibile contro Kurt Angle e che dà la possibilità a Mick Foley di prodursi in un promo eccezionale, per commozione e energia, basato tutto sui limiti dell'età che avanza, degli acciacchi e dei difetti, che però non ci impediscono di reagire: proprio loro, i limiti della condizione umana, da cui però - con un atto di volontà - possiamo riscattarci.
I wrestler sono archetipi, immagini riconoscibili da tutti e in cui ciascuno può identificarsi, in una storia di riscatto dei piccoli, che non avrà la dignità del Signore degli Anelli, ma che pesca nello stesso bagaglio emotivo e simbolico.
Per questo dico che il wrestling è vero. Non dico che è realistico: anzi, quando è troppo realistico (tipo Kurt Angle che dice che le figlie di Jeff Jarrett resteranno orfane: mi viene un brivido e penso che questo è troppo) è brutto come quando è troppo finto (tipo le scenette delle Beautiful People con la finta Sarah Palin... e io che avevo sperato davvero che si facesse vedere!). L'equilibrio tra realtà e finzione, tra sport e narrazione, tra consapevolezza che si tratta di uno spettacolo e l'immedesimazione nei personaggi: tutto questo è quello che rende una card di wrestling... showtime!
1 commento:
A me il wrestling mi appassiona perché al contrario degli altri sport é molto piu' vario, con tutte le mosse che esistono. Mi piace molto anche che i personaggi sono molto vari con tutte le gimnick che esistono e che devono essere ancora usate
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