domenica 24 novembre 2024

Laguna Wrestling Report #1

 

Assistere al primo evento in assoluto di una nuova promotion è affascinante e addirittura commovente, se si pensa che chi scrive aveva assistito al suo primo evento di wrestling in Veneto nel lontanissimo aprile 1988, quando l’allora WWF toccò, in una sua tournée italiana, il Palasport di Verona. La Battaglia di Trivignano, primo appuntamento di Laguna Wrestling, organizzazione voluta, pensata e gestita da Filippo Malvezzi, non si è svolta però in un palasport, bensì in una raccolta sala civica nell’entroterra veneziano – opportunamente chiamata Sala San Marco – che si è riempita di appassionati e curiosi di tutte le età. La scelta di branding è quella molto old school dei ‘territori’ pre-ascesa delle major promotion: anche la pubblicizzazione dell’evento è stata affidata a pochi e selezionati canali (giornali, newsletter, Instagram), attraverso i quali si è creato un rapporto molto diretto e personale con l’audience (culminato negli auguri di compleanno cantati da tutta la sala al sottoscritto e al suo figlio treenne: momento imbarazzante per chi scrive, ma che resterà un bellissimo ricordo, grazie a Migi), che comprendeva sì parenti e amici dei performer, ma soprattutto singoli e famiglie per la prima volta ad un appuntamento di wrestling. Anche la scelta del personale è stata molto oculata: volti noti in Italia e all’estero, lottatrici e lottatori molto esperti (con esperienza in promotion affermate) ma che hanno saputo creare una connessione con il pubblico, trasformando rapidamente la sala in una bolgia. Rivalità basate su elementi semplici ma sempreverdi (tipo la rivalità tra Roma e Venezia) hanno reso immediatamente chiaro per il pubblico (incluso quello ignaro del background dei wrestler) chi erano buoni e cattivi e con chi schierarsi. 

Tra cori molto ECW (ecco, la sala poteva ricordare anche quell’ambiente, senza gli estremi sul ring: This is awesome!) e lazzi tipicamente veneti (i migliori: Viva la Repubblica! all’indirizzo di Queen Maya; Palazzinaro! al ‘romanaccio’ Vittorio Bruni) le due ore sono volate, grazie a incontri dal booking solido e dai risultati credibili (sia come equilibrio heel/face sia come rispetto dei valori complessivi extra-evento). La performance è stata eccellente, nonostante un ring leggermente più piccolo del normale e un soffitto forse troppo basso per consentire spot più spettacolari. Insomma, un progetto davvero ben pensato fin nei minimi dettagli del prima, durante e dopo l’evento. L’appuntamento, come annunciato a fine serata da Josh Gasparini (di ritorno nel patrio Veneto dopo tre anni), è per il 2025 e non escludiamo che si possa aspirare a location più ampie, aspettandosi il sold-out anche lì.

Per completezza, di seguito i risultati degli incontri in programma (e fuori programma) della Battaglia di Trivignano:

Flavio Augusto batte ‘Brixia Bone Breaker’ Mirko Mori

Queen Maya batte Chiara Montessori e Camilla in una three-way dance

Picchio batte Jordan Saeed

Vittorio Bruni batte Matt Disaster

Karim Brigante vs. ‘Bittersweet’ Josh Gasparini no contest (outside interf.)

Josh Gasparini – Flavio Augusto – Picchio battono Karim Brigante – Zarkov – Dave Blasco

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martedì 8 ottobre 2024

The Scorpion #7 - Mr. McMahon review

 

Arrivo buon ultimo a scrivere qualcosa su Mr. McMahon, la docu-serie Netflix sul patron della WWE, costretto dai recenti scandali a lasciare il timone di quella che è la più grande compagnia di wrestling al mondo. Scandali che – pur avendo avuto dei prodromi negli anni e decenni passati – si sono manifestati solo di recente, quando la serie era già in rampa di lancio, e che quindi non hanno potuto essere affrontati nella loro piuttosto significativa rilevanza sulla vita del personaggio.

Si tratta quindi di una serie che – pur non essendo apologetica o troppo compiacente – non affonda i colpi quanto potrebbe, e difficilmente potrebbe essere altrimenti, visto il coinvolgimento diretto di McMahon e famiglia nella produzione.

Fin dal trailer, tutti i sei episodi sono giocati sul dualismo tra persona e personaggio: quanto di Vince McMahon jr c’è in Mr. McMahon e viceversa? Ovviamente la serie non dà una risposta univoca, perché è nella natura dello spettacolo che Vince e famiglia portano avanti da settant’anni (se teniamo conto di quanto fatto dal padre, Vince sr) mantenere l’illusione che quanto accade sul ring sia vero, instillando nel pubblico curiosità, dubbio, sorpresa, stupore – tutte emozioni e sentimenti che fondano la passione per il wrestling.

La terza puntata, Screwjob, è forse la più interessante in questo senso, perché – ‘incorniciata’ tra i due più famosi screwjob di Vince, quello ai danni di Wendi Richter nel 1985 e quello ai danni di Bret Hart nel 1997 – mette a tema quella che è la chiave del successo del wrestling presso il pubblico: la kayfabe.

Termine non a caso di origine circense, kayfabe è il mantenere viva l’illusione che quanto succede dentro e attorno al ring sia reale, non predeterminato, non coreografato, non sceneggiato. È un concetto che – prima dell’ascesa dell’allora WWF a fenomeno globale – non veniva messo in discussione in alcun modo dagli addetti ai lavori, tanto che buoni e cattivi (face e heel) dovevano mantenere i propri ruoli (e corrispondenti rivalità) anche al di fuori dei palazzetti. È un sinonimo della sospensione dell’incredulità richiesta per apprezzare uno spettacolo che ha contenuto atletico, ma che è sceneggiato quanto un prodotto televisivo seriale. Io stesso, quando scrissi per la prima volta di wrestling su una rivista di sport da combattimento, nel 1988, rimasi nella kayfabe (era la politica editoriale di allora, come lo è tutt’ora in molte testate cartacee, Pro Wrestling Illustrated in testa), trattando federazioni e atleti alla stregua di fenomeni legittimamente sportivi.

Ormai, soprattutto con l’avvento del web e della disponibilità in tempo reale di informazioni su tutto e tutti, non c’è più nessuno che possa essere considerato veramente mark, come venivano chiamate le vittime di imbrogli e fregature da sagra di paese (perché marchiati con un segno di gesso dai complici di imbonitori e truffaldini), nessuno abbocca alla kayfabe. L’approccio che va per la maggiore è oggi quello smart, che anzi è più interessato alle politiche del backstage e alle situazioni in cui la kayfabe si rompe (le uscite dal personaggio, come l’incidente della Kliq al MSG, o gli screwjob, per l’appunto), quasi disilluso rispetto all’incanto che le storie raccontate propongono.

C’è però una modalità di fruizione del wrestling che salva il piacere derivante dal seguire lo spettacolo, ma che non rinuncia alla consapevolezza che è tutto – ancora – kayfabe. È l’approccio smark, che consiste in una credulità distaccata, consapevole eppure aperta alla sorpresa. Per dirla con Mariano Tomatis, wonder injector, a proposito dei maghi e degli illusionisti:

Each artist can actively adopt an emancipatory attitude towards her audience, refusing the dicotomy and aiming at a “Smark” reaction. Shaping in the audience the sophisticated skill of “detached credulity” is the most ambitious challenge for a modern magician.

[Ogni artista può attivamente adottare un atteggiamento emancipatorio nei confronti del proprio pubblico, rifiutando la dicotomia (mark/smart, NdF) e puntando a una reazione "Smark". Plasmare nel pubblico la sofisticata abilità della "credulità distaccata" è la sfida più ambiziosa per un mago moderno]

Quindi anche il wrestling può essere operatore di reincanto? È quello che io credo sia il valore più alto che ha questa forma d’arte circense – o meglio, quello che le è rimasto rispetto alle altre forme di intrattenimento. Se c’è ancora qualcosa che ci sorprende, che ci fa emozionare, che ci lascia il dubbio sull’esistenza e la natura del trucco, non tutto è perduto.

E quindi ben venga anche il dubbio su Mr. McMahon: dove finisce l’individuo e dove comincia la maschera? Ma vogliamo davvero saperlo? Non è forse grandioso che nel 2024 il dubbio ci sia ancora? Non è forse questo il suo vero gioco di prestigio?


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giovedì 26 settembre 2024

The Scorpion #6 - The Iron Claw review

Il ritorno di fiamma della passione per il wrestling in Italia, con il fiorire di eventi e di sigle nuove, coincide con (o forse è favorito da) una crescente disponibilità di film e serie tv sulla disciplina, ulteriormente propiziata dalle piattaforme di streaming, che erano di là da venire solo 15 anni fa - epoca del mio ultimo intervento su questo blog... che sto utilizzando all'insaputa di chi lo aveva fondato e amministrato! Tutta questa sovrabbondanza rischia di 'lasciare indietro' prodotti che pure si erano attesi per molto tempo, ma che non si ha il tempo (o la disposizione d'animo) per guardare e analizzare.

Questo è il caso, almeno per me, di The Iron Claw, uscito ormai - almeno negli USA - quasi un anno fa, che sono riuscito a guardare solo nei giorni scorsi. Lo attendevo da tempo, un po' perché fin dagli anni 80 ho seguito le vicende dei Von Erich e la loro storia mi ha sempre affascinato e terrorizzato, ma anche perché - in quanto padre di vari figli - la figura di Fritz mi interroga e mi provoca.

Perché è vero che la vicenda narrata dal film è centrata su Kevin, ma la Iron Claw che gli dà il titolo non è solo la mossa caratteristica di famiglia, ma è soprattutto quella in cui il patriarca dei Von Erich ha stretto tutta la sua progenie. Il film è una storia di padri, e siccome all the best cowboys have daddy issues, il pianto finale di Kevin abbracciato ai figli è liberatorio anche dalla morsa che il padre ha esercitato sulla sua vita e su quella dei fratelli. Accecato da un'ambizione - che se fossimo in una tragedia classica chiameremmo hybris - e da un desiderio di rivalsa che superano ogni limite, Fritz Von Erich dispone a piacimento della vita e delle capacità dei suoi figli, senza contraddittorio, senza discussioni, senza appello. Questo accecamento è speculare a ciò che gli accade lungo gli anni, perdendo uno alla volta cinque dei sei figli (addirittura uno di loro non viene raccontato, nel film, tanto è fuori misura quello che accade: Chris viene solo ricordato nei titoli di coda). 

In quasi tutte le lingue del mondo non esiste una parola che rappresenti l'inverso di orfano, tale è l'innaturalità del sopravvivere ai propri figli: in latino troviamo però qualche volta orbatus, per riferirsi alla perdita di uno o più figli. Essere orbato significa perdere la luce dei propri occhi, ed è forse questo il contrappasso (destino? sfortuna? maledizione?) per l'accecamento di Fritz Von Erich di cui dicevamo. Quella di essere orbato è la paura che tutti i genitori del mondo condividono, è la tragedia più irrimediabile che possa capitare: i pochi romanzi senza lieto fine - o comunque senza un barlume finale di speranza - del più grande autore americano vivente, Stephen King, hanno a che fare con la perdita di un figlio (Pet Sematary su tutti).

Oltre a rappresentare questo terrore, la storia dei Von Erich mi interroga come padre perché descrive i rischi di invadenza (se non di condizionamento o di soffocamento) per la vita dei propri figli che comporta una passione, un'ambizione, anche solo un'aspirazione molto forte. Quanto è d'acciaio la morsa che sto esercitando sulle scelte di vita dei miei figli? Non bisogna essere nel Texas degli anni 70-80 per determinare (con la forza e l'inflessibilità, oppure con la disponibilità solo apparente che genera sensi di colpa) svolte esistenziali in chi ti ha come punto di riferimento.

La storia dei Von Erich è una tragedia, non classica nel senso greco-romano, ma classicamente americana. Si tratta di un grande romanzo familiare, con padri padroni, sfide all'ultimo sangue e lotta per l'affermazione sugli altri, per la conquista di un primato su altri territori. Il film è sostanzialmente riuscito: in chi non conosce bene la storia originale non stonano le licenze cronologiche, e anzi l'ambiente del backstage è reso piuttosto bene, le scene di lotta sul ring sono ben coreografate e credibili. Una certa sensazione di cringe emerge soprattutto a sapere che la narrazione è basata su persone vere, alcune delle quali viventi, tanto che forse al film preferisco una serie come Heels che traspone storie familiari di wrestling in una vicenda di immaginazione. La scena pre-finale con il ricongiungimento nell'afterlife dei fratelli defunti è certo strappalacrime, ma efficace nell'introdurre quel barlume di speranza che poi - nel vero finale - si materializza nel parco della casa di Kevin. Perché anche in questo, come in tanti romanzi americani, lo sguardo si alza dal buio delle miserie umane e della sconfitta, verso un futuro più radioso. 




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giovedì 8 ottobre 2009

Italian iMPACT! si trasferisce!

Amici di Italian iMPACT!, da oggi potrete continuare a seguire il nostro sito da una nuova piattaforma più moderna e funzionale!

Vi aspettiamo quindi su www.italianimpact.com



www.italianimpact.com
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venerdì 2 ottobre 2009

10.1 iMPACT!



Questo è solo un assaggio dell'ultima puntata di iMPACT! Tutti gli highlights sono disponibili QUI.
Nel primo match della serata, Amazing Red ottiene la vittoria contro Consequences Creed, Sheik Abdul Bashir, Kiyoshi e Jay Lethal in un Ladder Match ed avrà una title shot per l'X Division Title la prossima settimana.
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